Le rose, fiori per eccellenza, oggi riempiono i giardini con colori, forme e profumi variegati.
Anche nell'Area Archeologica di Fiesole tra maggio e giugno esplodono i bocci ed è facile trovare arbusti di rose che incorniciano i monumenti archeologici all'interno di scorci colorati.
Come dimostrano alcuni ritrovamenti fossili, le rose sono presenti sulla Terra da prima dell'uomo; nel Neolitico, poi, i frutti degli arbusti di rose divennero un ottimo cibo, che andava ad arricchire l'alimentazione del tempo, formata da prodotti spontanei e raccolti nei boschi. Si trattava di rose selvatiche, di cui a oggi si conoscono ben 150 specie, per lo più provenienti dall'Asia.
Non sappiamo se nei pressi del tempio etrusco di Fiesole si potessero già incontrare arbusti di rose così dove li vediamo oggi, ma ci sono buone probabilità che al tempo dei Romani questa pianta fosse già presente in città. Analisi sui pollini antichi, infatti, hanno rivelato che negli Horti Luculliani di Roma c'erano anche delle rose ad abbellire il giardino, svelandoci come i Romani le apprezzassero e le utilizzassero per decorare i loro "luoghi ameni".
La bellezza delle rose, infatti, era tale che già i Greci le collegarono ad Afrodite. La dea dell'amore e della bellezza, dopo essere nata dalla schiuma del mare, approdò sull'isola di Citera, dove spuntò anche un cespuglio spinoso; furono gli dèi, versandoci sopra del nettare, a farvi sbocciare delle rose bianche.
Anche la trasformazione delle rose da bianche a rosse è attribuita tradizionalmente ad Afrodite: la dea, correndo in soccorso del bell'Adone ferito a morte da un cinghiale, si bucò il piede con una spina e il sangue che uscì dalla ferita andò a tingere di rosso i fiori bianchi delle rose. Così racconta l'episodio Giambattista Marino:
"[...] spina nocente e cruda punse del bianco piè la pianta ignuda.
Ne la bella ferita la rosa allor s'intinse e 'l suo candor dipinse;
mentre la dea smarrita de la guancia fiorita discolorò le rose,
fe' di novo colore le altre pompose [...]"
Il fiore, prima attribuito ad Afrodite/Venere, nel II secolo d.C. viene collegato a Iside, la divinità femminile proveniente dall'Oriente e il cui culto, proprio in quegli anni, si stava diffondendo anche in Italia. Apuleio, infatti, autore seguace del culto di Iside, nelle sue Metamorfosi racconta come proprio una rosa abbia permesso al protagonista Lucio di abbandonare le sembianze di asino (in cui si era trasformato come punizione per aver creduto a una magia malsana) e riprendere quelle umane. Fu la stessa Iside, vestita di una tunica dai colori accesi e con in testa una corona di fiori, a comparire a Lucio e a suggerirgli come sciogliere il maleficio: nel giorno a lei consacrato, Lucio avrebbe dovuto prendere la corona di rose che il sacerdote avrebbe portato sul sistro durante la processione e, grazie al contatto con esse, avrebbe ripreso le sembianze umane.
L'attribuzione delle rose alle grandi divinità femminili trova ulteriore sviluppo nell'epoca cristiana, quando molti dei simboli pagani vengono riadattati alla nuova religione. Così, in epoca medievale, le rose sono spesso attribuite a Maria, talvolta rappresentata in veri e propri roseti.
Tuttavia, i circa mille anni del Medioevo non sono certo stati statici e anche le simbologie legate alla rosa sono cambiate, anche se l'idea di caducità suscitata dalla delicatezza dei petali, che tendono a deteriorarsi in fretta, sembra essere arrivata dall'antichità fino a noi, rappresentando la vita effimera:
"Un unico giorno abbraccia la vita della rosa, in un istante essa unisce gioventù e vecchiaia."
[Decimo Magno Ausonio, IV sec. d.C.]
Un altro significato molto comune che viene attribuito alle rose è quello di essere custodi di qualcosa di intimo e segreto. In questo modo, nel Medioevo la rosa si configura spesso anche come simbolo erotico, legato (più o meno esplicitamente) al rapporto sessuale, come succede nel duecentesco Roman de la rose di Guillaume de Lorris.
Il senso di effimero e di delicatezza di questi fiori si ritrova anche in Francesco Petrarca, il quale, nella seconda metà del Trecento, si riferisce alle rose anche come simbolo della bella stagione e del tempo che passa: "I' vidi 'l ghiaccio, e lì stesso la rosa", scrive ad esempio nel Trionfo del Tempo.
Nel Trionfo della Pudicizia, invece, Petrarca riprende il tema della corona di rose, facendola indossare alle giovani al seguito del carro che traina la Pudicizia. La raffigurazione che ci offre Jacopo del Sellaio (1485 circa), oggi conservata nel Museo Bandini di Fiesole, raffigura infatti le giovani "incoronate di rose e di viole" che seguono il carro su cui è portata la Pudicizia; sul terreno sono sparsi quelli che sembrano essere petali di rose rosse, simbolo della passione, ma anche del tempo e della vita che passa.
I. Dei
Piccola bibliografia:
Cattabiani A., Florario, 2020, Mondadori.
Chiusoli A., a cura di, Giardinaggio senza problemi, 1981, Selezione del Reader's Digest.
Mariotti Lippi M., Bandini Mazzanti M., Bosi G. et alii, Archeobotanica, in Kustatscher E., Roghi G., Bertini A. et alii, La storia delle piante fossili in Italia, pp. 345-391, Pubblicazione del Museo di Scienze Naturli dell'Alto Adige, n.9.
Ovidio, Le Metamorfosi, 1994, BUR.