Nel Museo Bandini di Fiesole si possono vedere molti dipinti a tempera e oro su tavola, oggi frammentari, che originariamente facevano parte di opere più complesse, spesso grandi polittici, i quali, nel corso dei secoli, sono stati smembrati e venduti “a pezzi”.
La condizione attuale di questi dipinti ci permette una loro lettura solo parziale. Spesso se ne è persa la paternità, la provenienza originaria e, di conseguenza, il contesto storico in cui l’opera fu realizzata.
I due pannelli con i Santi Bartolomeo e Domenico [foto 1] non fanno eccezione: oltre ad essere tavole frammentarie, sono anche state decurtate nella parte superiore. Tuttavia, gli storici dell’arte, passandosi il testimone nel corso di quasi un secolo, sono riusciti a recuperare dall’oblio molte delle informazioni necessarie ad una loro più ampia comprensione.
I due pannelli compaiono negli inventari della collezione di Angelo Maria Bandini, redatti nel 1803 e nel 1804, con un generico riferimento alla scuola fiorentina del XIV secolo.
Nel 1956 Richard Offner, storico dell’arte di origine viennese ma statunitense di adozione e specialista dell’arte medievale italiana, vi riconobbe la mano di Giovanni di Bartolomeo Cristiani, per le forti affinità con le opere da lui firmate e giunte fino a noi. Questa attribuzione fu subito accettata e in seguito riconfermata dagli studiosi.
Giovanni di Bartolomeo Cristiani fu un pittore pistoiese, attivo nella seconda metà del XIV secolo. Partendo da una formazione orcagnesca, probabilmente nell’ambito di Nardo e Iacopo di Cione, fu particolarmente sensibile al linguaggio figurativo di alcuni pittori fiorentini, quali Maso di Banco, per la resa degli effetti epidermici della materia, Puccio di Simone e Niccolò di Tommaso, per la vivacità narrativa. Negli ultimi anni Giovanni si aprì al nuovo linguaggio tardogotico, diventandone un rappresentante di spicco, in parallelo a pittori come Agnolo Gaddi e il Maestro della Madonna Straus. In tutto l’arco della sua attività realizzò polittici e affreschi per molte chiese pistoiesi e fiorentine.
Nel 1961 Federico Zeri, grande conoscitore dell’arte italiana, nonché dei musei di tutto il mondo e dei loro depositi, propose di ricongiugere i due pannelli del Museo Bandini ad altri due con i Santi Romualdo (o Benedetto) e Andrea del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo e ad una Madonna in trono e Angeli del Museo Puškin di Mosca, suggerendo così la ricostruzione dell’originario polittico.
L’opera, nel suo insieme, si caratterizza per la monumentalità delle figure, addolcita da contorni morbidi e da una cromia delicata, talvolta impreziosita da particolari decorativi, come i motivi dorati a fiorami e fenici, visibili sulla stoffa bianca del mantello di San Bartolomeo del Museo Bandini [Foto 2]; sono questi tutti elementi che si ritrovano nei dipinti di Giovanni Cristiani risalenti al periodo centrale della sua attività, ancora distanti dalle eleganze tardogotiche e dall’espressività più libera della fase finale.
In un recente intervento scientifico del 2013, Giacomo Guazzini ha ancora una volta posto l’attenzione sulla nostra opera, gettandovi nuova luce. Le sue ricerche erano incentrate sull’attività di committenza artistica dei fratelli Andrea e Bartolomeo Franchi, tra Pistoia e Prato, negli ultimi decenni del Trecento. Andrea Franchi, domenicano, fu priore del convento di San Domenico a Pistoia e vescovo della stessa diocesi dal 1381 al 1400, mentre il fratello minore, Bartolomeo, fu protonotario apostolico, segretario papale sotto Gregorio XI e Urbano VI e proposto di Prato. Nell’ultimo ventennio del Trecento i due fratelli furono contemporaneamente alla guida della diocesi di Pistoia e della propositura di Prato. A questi anni risalgono molte delle loro commissioni artistiche, per chiese e conventi delle due città, e Giovanni di Bartolomeo Cristiani lavorò a più riprese per entrambi, risultando il vero e proprio pittore di fiducia di Andrea Franchi. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Trecento Bartolomeo Franchi fondò il monastero olivetano di San Benedetto a Pistoia, dove più tardi sarà sepolto. Il monastero fu consacrato dal vescovo di Pistoia il 28 agosto 1380 ed era già attivo l’anno successivo. Guazzini avanza la proposta che a questo contesto vada riferito il polittico smembrato tra il Museo Puškin di Mosca, l’Ermitage di San Pietroburgo ed il Museo Bandini di Fiesole, già individuato da Zeri, di cui presenta una ricostruzione grafica [Foto 3 - gentilmente concessa da Giovanni Guazzini].
A sostegno della sua ipotesi, lo studioso porta la presenza nello scomparto centrale, ai lati della Vergine, dell’arma familiare dei Franchi. Inoltre nei laterali si possono vedere i Santi onomastici dei due fratelli, posti in posizione simmetrica ai patroni dei rispettivi ordini: Andrea con Domenico all’esterno e Bartolomeo con Benedetto in abito bianco all’interno; e la collocazione di quest’ultimo in posizione d’onore (cioè alla destra della Vergine) è un ulteriore importante indizio della destinazione olivetana dell’opera. Il polittico fu, perciò, con ogni probabilità commissionato da Bartolomeo Franchi per ornare l’altare maggiore della chiesa del monastero di San Benedetto a Pistoia, da lui fondato.
Questa lucida analisi ha permesso a Guazzini di mettere un punto fermo anche sulla datazione dell’opera, collocando verosimilmente la sua realizzazione poco dopo il 1380, anno della consacrazione del monastero.
Infine la ricontestualizzazione del dipinto ha chiarito l’identità del Santo alla destra della Vergine, che negli scritti di Zeri e di altri studiosi successivi era dubitativamente indicato come San Romualdo o come San Benedetto e che oggi possiamo con sicurezza riconoscere come il secondo dei due.
Finisce qui (per il momento!) la vicenda storiografica dei nostri pannelli, che grazie agli studi storico-artistici, hanno ritrovato la loro integrità.
Un piccolo ma significativo tassello di storia ci è stato restituito e i Santi Bartolomeo e Domenico sono sotto i nostri occhi per testimoniarlo e raccontarcelo.
Silvia Borsotti