Al Museo archeologico di Fiesole sono esposti alcuni frammenti di un tipo di ceramica che accompagnò la storia dell’impero romano dalla sua nascita fin oltre la sua fine, la cd. terra sigillata.
Con questo nome si indica il vasellame fine da mensa, sia decorato che non decorato, rivestito da vernice rossa, che fu prodotto in varie regioni del mondo romano dal II secolo a.C. al VII secolo d.C. (Fig. 1).
Nella “grande famiglia” della sigillata si distinguono diverse produzioni, ma tra quelle che riscossero più successo ci fu senza dubbio quella italica (metà del I sec. a.C. - metà del II sec. d.C.), la prima tra le altre ad essere commercializzata pressoché in tutte le regioni dell’impero e che dette origine ad una lunga e numerosa discendenza. Al netto delle peculiarità di ciascuna produzione, prendendone in considerazione i tratti comuni, è possibile raccontare alcuni fatti molto interessanti riguardo l’origine, le tecniche e i metodi di realizzazione di questo particolare tipo di ceramica.
Un elemento caratterizzante della sigillata è la vernice rossa (che assume tonalità diverse a seconda della produzione: ad es. del corallo in quella italica, dell’arancio in quella africana). Dietro la scelta di questo colore ci fu, in realtà, un cambiamento di “gusto” epocale che, elaborato in ambiente italico, andò a coinvolgere poi tutto il territorio dell’impero. Infatti, prima della diffusione della moda del rosso, secolare era stata la “preferenza” dei consumatori per le ceramiche rivestite di nero (le cd. ceramiche a vernice nera, fig. 2): esse avevano dominato sulle tavole italiche - ma non solo, essendo state esportate anche in tutto il Mediterraneo - sin dal V/IV secolo a.C. La nuova moda del rosso (che poi si protrarrà per circa sette secoli attraverso altre produzioni di terra sigillata, come la gallica, databile tra I e III sec. d.C., e quella africana, dal I al VII sec. d.C.) ebbe i suoi antecedenti in vasi a vernici rosse prodotti nel Mediterraneo orientale dal II secolo a.C. e arrivò in Italia (tra i primi centri, ad Arezzo) intorno alla metà del secolo successivo, forse tramite schiavi e artigiani fatti prigionieri nelle campagne di Pompeo in Oriente (67-62 a.C.).
Ma dietro questo cambiamento, in realtà, si cela anche un salto tecnologico molto importante. Il colore rosso delle sigillate di migliore qualità, infatti, era ottenuto attraverso la cottura in condizioni molto particolari, ovvero in atmosfera cd. ossidante continua (cioè con aria ricca di ossigeno e pulita) e a temperature altissime (sui 1050-1100°C). Per ottenerle, furono utilizzati forni di nuova concezione, detti “a fiamma indiretta”. Rispetto ai forni normalmente usati, questi consentivano di ottenere vasellame di qualità superiore: più resistente, più bello (per l’intensità del colore e per la lucentezza della vernice), più funzionale (per la minore porosità del rivestimento, che rendeva il vaso più impermeabile). Il funzionamento di questi forni presupponeva la disponibilità di ingenti risorse economiche e strumentali, oltre alla grande abilità e perizia dei fornaciai nella gestione del ciclo di cottura, dal momento che il minimo errore poteva rovinare l’intera infornata. Un danno notevole, visto che alcuni forni - come quelli documentati in siti produttivi gallici - potevano arrivare a contenere diverse decine di migliaia di vasi!
Anche la decorazione con piccole figure a rilievo (caratteristica che ha ispirato il nome “sigillata”, dal latino sigilla, immagini, figure), permette di osservare l’alto livello artistico e tecnico che poteva essere raggiunto dai vasai romani, in particolare negli esemplari realizzati e decorati con la tecnica della matrice (fig. 3). Questa tecnica prevedeva per foggiare il vaso l’uso di uno stampo che recava in negativo la decorazione - ed, eventualmente, i bolli, sorta di “marchi di fabbrica” con uno o due nomi di persona in forma abbreviata - come si nota nei frammenti del Museo, pertinenti alla produzione italica (figg. 4-5). Dagli elementi vegetali ai piccoli animali, dalle figure umane o fantastiche fino alle scene più complesse tratte dal mito, emerge chiaramente la finezza esecutiva, la grande cura dei particolari e la ricchezza del patrimonio iconografico utilizzato.
Dietro questa ceramica dalle belle sfumature di rosso, si cela quindi una storia di grande sapere tecnico, notevole capacità artistica e innovazione tecnologica. Naturalmente è solo una piccola parte del racconto che questa ceramica potrebbe fare, dal momento che rifletté, nel corso della sua lunga vita, non solo cambiamenti di usi e costumi, di credo religioso, di strategie commerciali, ma anche mutamenti politici e sociali del mondo romano.
Chiara Ferrari
Immagini
Fig. 1 - Alcuni frammenti di terra sigillata nella sala 1 del Museo archeologico di Fiesole (foto dell’autrice)
Fig. 2 - Un esemplare della ceramica cd. a vernice nera, Museo archeologico di Fiesole (foto: Comune di Fiesole)
Fig. 3 - Un frammento di matrice decorata per la produzione di sigillata italica, Museo archeologico nazionale di Arezzo (foto: Sailko; licenza: Creative Commons Share Alike 3.0 Unported)
Fig. 4 - Frammento di ceramica sigillata italica con bollo decorata a rilievo, Museo archeologico di Fiesole (foto: Comune di Fiesole)
Fig. 5 - Frammento di ceramica sigillata italica decorata a rilievo, Museo archeologico di Fiesole (foto: Comune di Fiesole)
Riferimenti bibliografici
N. Cuomo di Caprio, Ceramica in archeologia 2. Antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, 2007.
S. Menchelli, La terra sigillata, in D. Gandolfi (a cura di), La ceramica e i materiali di età romana. Classi, produzioni, commerci e consumi, 2005, pp. 155-168.
M. Sternini, La fortuna di un artigiano nell’Etruria romana, 2012.