Alcuni anni fa Fiesole è stata teatro di una delle più sensazionali scoperte storico-artistiche degli ultimi anni.
Da molto tempo nel Palazzo Vescovile era conservata una terracotta policroma raffigurante la Madonna con il Bambino. Vi era giunta in un periodo non ben identificato, probabilmente grazie ad una donazione privata. Nel 2009, a seguito del restauro conservativo ed estetico, eseguito per l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze da Rosanna Moradei e Akiko Nishimura, sotto la direzione di Laura Speranza, l’opera si è rivelata un capolavoro [Fig. 1].
La giovane Madonna, con il volto dolce e assorto e lo sguardo abbassato, tiene in braccio il piccolo Gesù, che, mentre guarda lontano, con un’espressione pensosa e malinconica, si aggrappa allo scollo della madre in cerca di protezione e conforto.
La qualità della scultura, oggi esposta nel Museo Bandini, è altissima, sia nella realizzazione plastica, che nella policromia realizzata a freddo, quasi completamente originale, nonostante sia un po’ consunta negli incarnati, a causa di vecchie puliture troppo pesanti. I caratteri fisiognomici delle due figure sono indagati con grande fedeltà naturalistica. Il bambino ha un suo peso corporeo e il braccio della madre pare sostenerlo realmente mentre con la mano sinistra preme delicatamente la coscia grassottella del piccolo, tanto che il pollice affonda lievemente nelle sue carni [Fig. 2].
La raffinatezza dell’opera è accentuata dalla preziosità dei materiali scelti: a cominciare dall’oro, utilizzato sia in foglia che a missione, inciso e bulinato, con esiti estremamente ricercati, per esempio nella fodera violacea del manto di Maria, decorata a racemi d’oro, e nella tunichetta del Bambino, decorata con bolli d’oro punzonati e graffiti su una tempera color avorio; ma anche la lacca rossa della veste di Maria, stesa su una sottile lamina d’argento, doveva sortire un elegante effetto traslucido.
Sulla base, la scritta in alto che recita «Mater Dei Memento Mei» e gli stemmi sugli spigoli suggeriscono che si tratti di un’opera destinata alla devozione privata. Oggi gli stemmi non sono più leggibili, perché quasi completamente abrasi, pertanto non ci è dato sapere per chi fu realizzata quest’opera, ma la preziosità e la qualità altissima ci permettono di ipotizzare una committenza molto elevata [Fig. 3].
Anche sul nome dell’autore abbiamo per ora soltanto ipotesi. Luciano Bellosi, seguito poi da Laura Speranza, ha a suo tempo avanzato la paternità del giovane Filippo Brunelleschi, prima che si dedicasse definitivamente all’architettura, ma la proposta non è stata accettata da tutti gli studiosi e necessita di studi di approfondimento.
Tuttavia è verosimile che la realizzazione dell’opera sia da collocare nei primissimi anni del Quattrocento, vista la presenza di elementi ancora apertamente gotici, come gli archetti trilobati della base e gli eleganti caratteri della scritta. Senz’altro, poi, si tratta di un grande artista, che agli inizi del Quattrocento fu tra i protagonisti della riscoperta delle potenzialità espressive della terracotta anche nel campo della statuaria, dopo secoli in cui questo materiale era stato relegato al solo ambito dell’architettura e dei manufatti d’uso.
Avremo modo, in un futuro prossimo, di tornare su questi argomenti, che per ora sono destinati a rimanere aperti. Al momento, invece, ci interessa sottolineare l’eccezionalità di quest’opera, portatrice di valori nuovi agli albori del Rinascimento.
La scultura rivela una inedita centralità dell’esperienza umana e una sensibilità tutta nuova per la realtà emotiva. La composizione infatti è incentrata sul rapporto affettivo tra madre e figlio.
La loro intimità è magistralmente sottolineata dal velo azzurro, che la madre indossa sotto il più pesante manto dorato e con il quale avvolge il suo bambino, ma anche dal bellissimo gioco di gesti tra le due figure: Maria inclina leggermente la testa sfiorando con tenerezza quella del figlio; con la mano sinistra sostiene saldamente il bambino, mentre con la destra gli accarezza la gamba sinistra. Gesù piega la gamba destra e mostra la pianta del piedino, appoggiato dolcemente sul dorso della mano destra della madre.
Entrambi, consapevoli del destino di sofferenza che li aspetta, accettano con umiltà e devozione la volontà di Dio. Come poco dopo avverrà nella pittura di Masaccio, il messaggio cristiano è calato in un contesto nuovo, sorprendentemente umano. Ma non è tutto: ancor prima che la cultura rinascimentale maturasse i propri frutti, quest’opera ci ha consegnato un’immagine precocissima di un’umanità fragile ma disposta ad affrontare eroicamente il proprio destino, con la forza dei propri valori e dei propri affetti.
Ed è proprio con questa mirabile terracotta, foriera di un messaggio ancora così necessario, che abbiamo voluto chiudere un anno di S-punti d’incontro, augurando a tutti un felice Anno Nuovo
Silvia Borsotti
Riferimenti bibliografici
L. Speranza, Madonna col Bambino, scheda in Il cotto dell’Impruneta. Maestri del Rinascimento e le fornaci di oggi, cat. mostra, Impruneta, Basilica e chiostri di santa Maria, marzo-luglio 2009, a cura di R. C. Proto Pisani e G. Gentilini, Firenze 2009, pp. 58-61.
L. Bellosi, Introduzione, in Madonne rinascimentali al Quirinale, cat. mostra, Roma, Palazzo del Quirinale, maggio-giugno 2011, a cura di L. Godart, Roma 2011, pp. 19 – 39.
A. Andreoni, F. Kumar, R. Moradei, L. Speranza, Le Madonne di Fiesole, Taylor e Sansovino. Capolavori rinascimentali in terracotta restaurati dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, in Madonne rinascimentali al Quirinale, cat. mostra, Roma, Palazzo del Quirinale, maggio-giugno 2011, a cura di L. Godart, Roma 2011, pp. 45 – 60.
C. Gnoni Mavarelli, Una recente scoperta: la Madonna col Bambino attribuita a Filippo Brunelleschi, in Museo Bandini di Fiesole, a cura di C. Gnoni Mavarelli, Firenze 2011, pp. 108-109.
Credits fotografici
Opificio delle Pietre Dure – Marco Brancatelli