Il primo nucleo del Museo Civico era costituito dai reperti provenienti dagli scavi del teatro romano promossi dal marchese Strozzi già a partire dal 1873 e, pur essendo poco più di un magazzino, aveva i suoi visitatori tra tutti coloro, italiani e stranieri, che raggiungevano Fiesole, già da allora meta di un turismo colto e raffinato.
Va ricordata, in particolare, la visita dell’imperatore e dell’ imperatrice del Brasile, Don Pedro II e Teresa Cristina di Borbone, appassionata d’arte e archeologia, nel marzo del 1875 per i quali però “bisognò che l’onorevole rappresentante del Municipio fiesolano, venuto espressamente per ricevere e complimentare gli augusti visitatori, si facesse in tutta fretta imprestare da un vicino proprietario una sedia se non elegante abbastanza solida e netta affinché l’imperatrice avesse modo di prender breve e non pericoloso riposo”. Gli illustri ospiti trovarono poi maggiori comodità nell’ospitalità di Temple Leader al castello di Vincigliata.
Negli anni successivi arrivarono al museo ceramiche e sculture dalle provenienze disparate e solo in parte da Fiesole, in particolare il gruppo di buccheri donati dalla Società Colombaria di Firenze e l’insieme dei reperti depositati dal Capitolo della Cattedrale fiesolana, questi ultimi di grande interesse sia per l’alta qualità di alcuni di essi sia per la loro accertata provenienza locale.
Come si presentasse questo piccolo museo ce lo dicono la guida del primo direttore, Demostene Macciò, edita nel 1878, e le parole di Edoardo Galli nella sua Relazione intorno al catalogo – schedario del Civico Museo di Fiesole, un dattiloscritto da lui redatto in occasione dell’apertura del nuovo museo nel 1914.
Il Galli, figura di grande importanza per l’archeologia italiana in generale e per quella fiesolana in particolare, calabrese di origine, fu al Museo Nazionale di Firenze dal 1903 svolgendo una serie di lavori e ricerche in particolare nel sito di Fiesole dove, tra l’altro, mise in luce la necropoli longobarda nell’area archeologica. Redasse anche la nuova guida del sito e ordinò il nuovo Museo fiesolano di cui fu anche direttore di fatto. Lasciò Firenze nel 1923 quando gli fu affidata la nuova Soprintendenza della Calabria.
Questa relazione fu scritta in occasione dell’avvio dei lavori di trasferimento dei materiali archeologici dal vecchio Museo, sito in tre locali del Palazzo Comunale, al nuovo che si stava realizzando all’interno dell’area archeologica in prossimità del teatro romano. Così scriveva il Galli:
“Il Museo Civico di Fiesole fin dalla sua istituzione ufficiale (1878) non ebbe un catalogo e neppure un inventario delle cose archeologiche che raccoglieva … Il Museo pertanto rimase fino a quest’anno (1914, n.d.r.) senza un inventario descrittivo e conseguentemente senza una regolare consegna. Più che di un vero e proprio museo utile agli studiosi e di attrattiva per i molti touristes che frequentano Fiesole, esso ebbe finora la fisionomia di un magazzino disordinato, con una grande congerie di oggetti fiesolani e non fiesolani, esposti quasi alla rinfusa soprattutto per la deficienza dei locali e del mobilio. Di tutte le collezioni, quella numismatica romana (Repubblica e Impero) era la più curata e cronologicamente distribuita: ma anch’essa poco o punto servibile per le condizioni pessime della luce, essendo esposta nei palchetti inferiori di una grande e polverosa vetrina a muro, senza fondo! …"
Una descrizione più dettagliata del museo e della sua organizzazione ci viene dalla guida del Macciò.
La prima stanza conteneva oltre alle iscrizioni recuperate in vari punti della città anche le tre lastre in pietra decorate a bassorilievo oggi esposte nel portico d’ingresso al museo e i frammenti delle lastre in marmo dal teatro. Oltre a questi, due reperti in particolare si segnalavano: la cista in piombo e la grande ara in marmo, oggi nei depositi del museo, da sant’Alessandro.
Nella seconda stanza erano sculture, frammenti ceramici e bolli laterizi; qui si trovavano anche i coperchi di urne con epigrafi etrusche. Presente anche una collezione di frammenti di marmi policromi che “rendevano splendidi i templi, i teatri e i palazzi dei quali era ricca la città, che dopo la dispersione della gente etrusca colonizzata dalle fiere legioni di Augusto, s’immerse nel lusso di Roma” (Macciò, pag. 19).
Nella terza e ultima stanza, come l’autore stesso nota, c’era un po’ di tutto: frammenti ceramici, ornamenti e fibule in bronzo, stili e aghi crinali in osso, i buccheri della Società Colombaria dalle aree di Chiusi e Sovana, i reperti da Mantova ritrovati negli scavi del monumento ai Martiri di Belfiore donati dal marchese Strozzi. Concludeva l’esposizione la collezione di monete, forse la più ordinata di tutto quanto esposto.
L’arricchimento delle collezioni, il progredire degli scavi e il rafforzamento del ruolo delle Soprintendenze e dei loro funzionari nella gestione e organizzazione del patrimonio archeologico del territorio portarono, ai primi del ‘900, alla decisione di considerare necessario realizzare un museo adeguato alla realtà di una cittadina che, grazie proprio alla presenza del teatro romano e degli scavi archeologici, cominciava a essere conosciuta in tutto il mondo.
E’ quindi arrivato il momento, anche per noi, di trasferirci nel nuovo Museo.
Marco De Marco
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