Vivere a Firenze al tempo di Dante significava partecipare a uno dei momenti più tumultuosi e rivoluzionari della storia della città.
Raccontare le vicende di quegli anni non è facile e questo contributo (per forza di cose, alquanto ridotto e semplificato) getta soltanto un veloce sguardo su come la piccola città di Fiesole si inserisse nel contesto di fine Duecento e inizio Trecento, lo stesso che emerge dai versi della Divina Commedia.
Gli equilibri che si erano formati nella nostra penisola nei secoli precedenti erano ormai crollati: le città italiane si erano organizzate in Comuni, ovvero in nuove e autonome forme di governo, alternative all'autorità dell'impero e dei suoi grandi feudatari. Inizialmente, a capo dei Comuni c'erano le famiglie aristocratiche, i cosiddetti Magnati, che potevano vantare almeno un membro cavaliere. Così, quando nel 1293 Giano della Bella emanò gli "Ordinamenti di Giustizia", con i quali escludeva i Magnati dal governo della città favorendo il Popolo (mercanti, commercianti e artigiani), anche Dante Alighieri dovette iscriversi alla corporazione dei Medici e degli Speziali per poter continuare a partecipare attivamente alla politica della propria città.
Il Duecento è anche il secolo delle feroci lotte tra guelfi e ghibellini, i due partiti nati nel secolo precedente e che ora riunivano, rispettivamente, i sostenitori del potere papale e i sostenitori di quello imperiale. La diatriba tra le due fazioni si inasprì e Firenze, dopo varie vicende che alternarono al governo ora il primo ora il secondo partito, era ormai scossa da lotte intestine. Negli ultimi anni del Duecento, inoltre, la nascita di due ulteriori fazioni (guelfi bianchi e guelfi neri) mise le famiglie una contro l'altra, creando grandi disaccordi cittadini.
Era il 1300 e Dante, guelfo bianco - moderato, aggiungeremmo oggi-, era priore di Firenze.
Papa Bonifacio VIII, per cui parteggiavano i Neri, si intromise nelle questioni fiorentine, ma l'esito sfavorevole delle operazioni lo indusse a inviare a Firenze, come paciere, Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo il Bello. Tuttavia, mentre Dante era impegnato in un'ambasceria verso Roma, Carlo di Valois non si oppose all'ascesa dei guelfi neri al governo della città.
La lotta aveva così assunto un carattere internazionale e Dante, in quanto guelfo bianco, nel 1302 fu definitivamente esiliato dalla sua Firenze.
Ma... mentre Firenze era in subbuglio, cosa succedeva nella vicina Fiesole?
La piccola Fiesole era da sempre (con alterne fortune) un'importante sede vescovile. La sua diocesi, tra le più antiche di Italia, si estendeva (e si estende tuttora) su un ampio territorio che arriva fino al Casentino, al Chianti fiorentino e al Valdarno superiore.
Già nel IX secolo i vescovi fiesolani (così come accadeva quasi ovunque) diventarono possessori terrieri e feudatari del re, che attribuì loro, oltre il potere spirituale che già avevano sulla diocesi, quello temporale, ovvero la possibilità di far valere diritti di tipo economico e politico sugli abitanti di alcune aree. I vescovi fiesolani si inserirono così nella fitta rete di relazioni tra le autorità della Tuscia, conservando la loro posizione, tra alti e bassi, fino al XII secolo, quando l'assetto della marca mutò sensibilmente.
In questo secolo, infatti, la morte di Matilde di Canossa, marchesa di Tuscia e rappresentante del potere regio, e l'arrivo di Federico Barbarossa prima e Federico II poi furono soltanto alcune delle cause che portarono alla nascita dei Comuni e, nel nostro caso, alla conseguente espansione di Firenze nelle campagne circostanti e alla formazione di un contado. La creazione del contado fiorentino portò inevitabilmente Firenze a scontrarsi con gli interessi del vicino vescovo di Fiesole e degli altri feudatari che detenevano poteri su quei territori.
Con il 1125 e la conquista di Fiesole da parte di Firenze, cominciò un lungo periodo di declino per il vescovo fiesolano, da secoli massima autorità politica e religiosa della città. La diocesi di Fiesole continuò a esistere e non fu mai unita a quella di Firenze, ma il suo vescovo perse la maggior parte dei poteri temporali sul territorio e, pur mantenendo la cura delle anime sugli abitanti, fu costretto ad amministrare la diocesi sotto il controllo della chiesa fiorentina. Fu così, infatti, che nel 1228 fu obbligato ad abbandonare Fiesole e a trasferirsi nella chiesa di Santa Maria in Campo, a pochi metri dal Duomo di Firenze. Trasferendo qui la sede vescovile, i fiorentini potevano osservare da vicino le azioni dei vescovi fiesolani, che governarono da lì fino al 1874, data in cui finalmente rientreranno a Fiesole.
Mentre le anime dei fedeli della diocesi erano ancora affidate al suo vescovo, l'amministrazione civile del territorio fiesolano passò sotto l'influenza fiorentina: i popoli della diocesi vennero assegnati ai Sestieri fiorentini, dai quali dipendevano militarmente e ai quali dovevano fornire milizie in caso di necessità. Nel 1296 la popolazione afferente al territorio fiesolano risulta inserita nei sestieri di S. Pier Scheraggio, di Borgo, di Duomo e di Porta S. Piero; a quest'ultimo apparteneva anche la città di Fiesole.
La Fiesole conosciuta da Dante era dunque una città con una grande storia e capace di alimentare leggende, ma mostrava soltanto le vestigia di quel glorioso passato. Il suo vescovo, che per secoli era stato capo civile e spirituale di un ampio territorio, risiedeva ora lontano dalla sua cattedrale, in una piccola chiesa di Firenze, dalla quale amministrava l'ampia diocesi, i cui abitanti prestavano per la maggior parte fedeltà al comune fiorentino.
Poco sappiamo della posizione dei vescovi fiesolani durante le lotte che portarono Dante all'esilio. Tuttavia, non stupisce sapere che nel 1312 il fiorentino Antonio d'Orsi, nominato nel 1301 vescovo di Fiesole da Bonifacio VIII, incitò il clero e il popolo a difendere Firenze dall'assedio di Enrico VII. Quest'ultimo, nominato imperatore del Sacro Romano Impero, era sceso in Italia su invito del Papa Clemente V per cercare di porre fine alle lotte tra guelfi e ghibellini. L'imperatore arrivò anche nella guelfa Firenze, che però resistette all'assedio, fomentata dallo stesso papa.
L'esito dell'azione provocò delusione nell'esiliato Dante Alighieri, il quale eternò il tentativo di Enrico VII e l'inganno di Clemente V nei versi della sua Divina Commedia, destinando all'"Alto Arrigo" un seggio tra i Beati della candida rosa [Par., XXX, 133-148].
A cavallo tra XIII e XIV secolo, quindi, i rapporti tra le istituzioni politiche e religiose (quest'ultime, tra l'altro, rivoluzionate dai recenti movimenti pauperistici) non erano semplici e le conseguenze ricaddero anche su Firenze e i suoi abitanti. La città, che la leggenda vuole da sempre rivale della vicina Fiesole, trovò in questi secoli il terreno fertile per conquistare l'antica città etrusca, strappare parte dei suoi territori al potere temporale del vescovo e assorbirli nel contado e, infine, controllare da vicino l'operato del presule fiesolano, affinché non potesse riorganizzare le basi politiche del suo antico potere.
L'equilibrio instabile dei rapporti tra Fiesole e Firenze era, probabilmente, giunto al suo apice e occorsero ancora alcuni secoli prima che gli attriti (più o meno latenti) si placassero.
Irene Dei
Riferimenti bibliografici
AA.VV., 1986, Fiesole. Una diocesi nella storia, Firenze.
Dei I., I conti Guidi e la diocesi di Fiesole, tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, UniFi, a.a. 2010 - 2011.
Piccinni G., 2007, I mille anni del Medioevo, Milano.
Barlucchi A. Franceschi F., Sznura F., a cura di, 2020, La Firenze dell’età di Dante negli atti di un notaio: Ser Matteo di Biliotto, 1294-1314, Firenze.
Credits fotografici
Fig. 1 - Profilo di Dante Alighieri, da un codice della Biblioteca Riccardiana di Firenze - tratto da Bargellini P., 1964, La splendida storia di Firenze, Firenze, v. 1, fig. 179.
Fig. 2 - Fiesole, Piazza Mino con la cattedrale di San Romolo e il suo campanile - foto dell'autrice.
Fig. 3 - Fiesole, Cattedrale di San Romolo, interno - foto dell'autrice.
Fig. 4 - Stemma del Sestiere fiorentino di Porta San Piero - tratto da Bargellini P., 1964, La splendida storia di Firenze, Firenze, v. 1, fig. 145.
Fig. 5 - Battaglia tra gli imperiali di Enrico VII e i Fiorentini - tratto da Bargellini P., 1964, La splendida storia di Firenze, Firenze, v. 1, fig. 168.