Oggigiorno molti fiesolani indicano come “Buca delle Fate” una fessura lungo le mura etrusche davanti al Tabernacolo di Sant’Anna.
Tuttavia, le Buche delle Fate, menzionate tra l’altro nella lapide marmorea all’ingresso dell’Area archeologica (Fig. 1), erano in realtà rovine antiche, come apprendiamo dalle Lettere XII di Angelo Maria Bandini. Il canonico, noto per la straordinaria collezione d’arte che ancora oggi porta il suo nome, nel 1800 raccontava di essere entrato personalmente all’interno di “una caverna… terminata in volta a mezza botte, ma talmente ripiena nel pavimento di sassi e terra, che io potevo toccare la parte più alta della volta”.
Alcuni brani della dettagliata descrizione delle cinque strutture ci forniscono un’immagine inedita del canonico. Egli entrò carponi tra le “molte Salamandre pigrissime, e quasi stramortite, forse abbagliate della luce della torcia”. Bandini spiegava che si trattava delle rovine del teatro, un’intuizione geniale che poi sarebbe stata confermata dagli scavi condotti un decennio più tardi. Infatti, si tratta delle strutture voltate sotterranee che sorreggono una parte delle gradinate del teatro romano (Fig. 2).
Alcuni decenni dopo, a metà Ottocento, i turisti inglesi leggevano in Città e Necropoli d’Etruria di George Dennis che Fiesole era “uno dei luoghi più pittoreschi dello scenico territorio… con le sue ville ombreggiate dalle pergole di vite e i suoi conventi circondati di cipressi”. L’autore, tuttavia, era rimasto deluso che il teatro romano, “scoperto e scavato nel 1809 dal barone Schellersheim, un nobile prussiano”, fosse stato reinterrato in modo che i canonici della Cattedrale potessero piantarvi “fagioli o carciofi”! Le uniche parti ancora visibili nel 1848 erano alcuni gradini in pietra “e una rampa di scale che conduceva giù a uno spazio voltato in muratura in pietra ad opus incertum, che i fiesolani chiamavano “Buche delle Fate”. Nella tesi di laurea sulle “Buche delle Fate”, scritta un ventina d’anni fa, Oscar Calì e Andrea D’Afflitto descrivevano gli spazi come “cavità molto anguste da visitare a causa del poco spazio rimasto tra le volte e l’attuale piano di calpestio.” Già nel 1683 il luogo era così noto che il poeta e uomo di scienza Francesco Redi vi fece riferimento di sfuggita in una lettera al Principe Leopoldo de’ Medici, scrivendo di “una fanciulla più bella di una fata morgana, o di una di quelle, che abitano nelle buche di Fiesole”. E quando, nel 1863, Cesare Cantù incluse la lettera nel suo volume La letteratura italiana: esposta alla gioventù per via d’esempj, i giovani allievi impararono l’arte della scrittura leggendo delle Buche delle Fate. Nel frattempo, nei Discorsi istorici sopra l'antica città di Fiesole del 1729, Niccolò Mancini suggeriva che le ‘Fate’ dovessero il proprio nome alla Dea Fatua, oppure dalle “sette Ninfe Figliuole d’Atlante, Fondatore, come si disse, di Fiesole”. A me piace invece l’idea che la gente avesse sentito voci di fanciulli che giocavano nelle rovine, come aveva scritto nel 1552 Antonfrancesco Doni ne I Marmi: “essendo in quelle chiasaiuole [piccoli canali] coperte a Fiesole certi fanciulli là dentro, che chiamano le buche delle fate, et andando inanzi un pezzo con una lanterna, si spense loro il lume! Certi altri, che erano entrati inanzi ... vendendo spenger loro il lume, si messero a far lor paura con boci [voci] contraffate; come i fanciulli, spauriti, corsero fuori gridando”. Ma ormai da decenni l’accesso è stato precluso al pubblico, facendo cadere le Buche nell’oblio, e non si sentono più le voci dei fanciulli là dentro.
Le Buche fecero da sfondo a una vicenda ancor più terrificante della moderna storia d’Italia. Tra il luglio e l’agosto del 1944, negli ultimi mesi dell’occupazione, mentre le truppe tedesche stavano preparando la ritirata verso nord, i carabinieri di stanza a Fiesole misero costantemente a rischio la propria vita, aiutando i partigiani impegnati contro le brutali forze occupanti. Cinque carabinieri che risultavano allora attivi nella caserma erano anche iscritti alla Brigata “V” del Corpo Volontario della Liberà, Divisione Giustizia e Liberà (Fig. 3): il comandante, Vice Brigadiere Giuseppe Amico, l’appuntato Francesco Naclerio (Fig. 4), e i giovani carabinieri Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti.
Il 6 agosto Amico venne deportato dai tedeschi ma riuscì a fuggire e a far recapitare ai suoi quattro colleghi rimasti in caserma l’ordine di lasciare il presidio, di spostarsi a Firenze e partecipare alla liberazione. La sera dell’11 agosto Naclerio, La Rocca, Marandola e Sbarretti misero in atto la prima parte del piano. Una testimonianza del 1945, pubblicata nella guida della mostra tenutasi in Sala Costantini nel 2019, dedicata al Monumento ai Tre Carabinieri di Marcello Guasti (1964), la scultura bronzea creata per il Parco della Rimembranza (Fig. 5), ci informa che i quattro carabinieri, rimasti bloccati a Fiesole occupata, “decisero di pernottare nelle grotte dell’Anfiteatro romano. Nelle suddette grotte rimasero fino alle ore 18 del successivo giorno 12, ora in cui un civile si recò a chiamare l’appuntato Naclerio”.
Questi venne informato che “se, entro la sera stessa, i carabinieri non si fossero presentati, avrebbero ordinato la fucilazione di dieci ostaggi del paese ... L’appuntato Naclerio, fortemente conturbato per la notizia ricevuta, fece ritorno presso i suoi compagni e la comunicò ad essi che ne rimasero, a loro volta, atterriti. Dopo breve riflessione ... decisero unitamente di presentarsi senza porre altro indugio”. Il destino dei tre giovani, La Rocca, Marandola e Sbarretti, è descritto nella motivazione per il conferimento della medaglia d’oro al valor militare, conferita nel 1946. Ciascuno “veniva informato che il comando germanico aveva deciso di fucilare dieci ostaggi nel caso egli non si fosse presentato al comando stesso entro poche ore. Pienamente consapevole della sorte che lo attendeva, serenamente e senza titubanze la subiva perché dieci innocenti avessero salva la vita. Poco dopo affrontava con stoicismo il plotone d’esecuzione tedesco”. L’appuntato Naclerio è sopravvissuto e la sua storia viene raccontata in Il Quarto Uomo. La vera storia degli eroi di Fiesole, una nuova opera lirica di Hershey Felder, con musicisti dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e prima mondiale proprio nel teatro romano. Musica, testo e immagini coinvolgeranno gli spettatori, seduti sulle gradonate del teatro romano, in un’esperienza immersiva: immaginare le emozioni dei carabinieri nascosti nelle “Buche della Fate” sotto di loro.
Jonathan K. Nelson
Immagini
Fig. 1: La lapide menzionante le “Buche delle Fate” posta all’ingresso dell’Area archeologica di Fiesole, foto di C. Ferrari
Fig. 2: Il teatro romano di Fiesole, foto di I. Dei
Fig. 3: Tessera della Brigata “V” appartenuta al Vice Brigadiere Giuseppe Amico, collezione privata
Fig. 4: L’appuntato Francesco Naclerio, collezione privata
Fig. 5: Il monumento ai Tre Carabinieri “Slancio verso l’infinito” di Marcello Guasti nel Parco della Rimembranza, Fiesole - da Wikipedia, Monumento ai Tre Carabinieri, Fiesole, opera di Marcello Guasti, cartolina del 1964